La pandemia ha colpito duramente i settori più fragili della popolazione, portando in superficie numerose delle difficoltà e problematicità che condizionano quotidianamente le nostre vite.  Le prime vittime sono stati i nostri anziani – la percentuale più alta di morti a causa Covid-19 – che oltre a subire la tragedia sanitaria hanno vissuto dall’inizio della pandemia in uno stato di solitudine ed abbandono. In questi mesi al loro fianco, spesso, sono rimaste solo le assistenti familiari – le “badanti”- pilastro invisibile ma portante di un sistema di welfare che continua a considerare il lavoro di cura come una questione privata in cui non immischiarsi.

La ricerca “La cura dopo la tempesta” – prodotta da Acli Lombardia in collaborazione con la Fondazione Cariplo in seno al progetto “Time to care” –  presentata il 21 aprile 2021, si è occupata di raccogliere ed elaborare dati diversi per dare una visione più completa di quella parte di popolazione che quotidianamente sostiene e si prende cura degli anziani, segmento demografico importante e in continua crescita  nel nostro paese, ma che continua ad essere sottovalutato. Fornendo dati rilevanti e precisi si vuole portare il tema all’attenzione del decisore pubblico, di modo che questo sia in grado di comprendere meglio la realtà della situazione e possa formulare policies adatte a un settore fondamentale.

Un mercato sommerso e maturo

Il primo dato a colpire è il numero: circa 400.000 sono le badanti registrate all’INPS nel 2019, a cui se ne aggiungono circa 170.000 in seguito alla sanatoria promossa l’estate del 2020. Questi numeri però, secondo le previsioni, costituiscono solo un terzo di un mercato che per la grande maggioranza rimane sommerso. In pratica, quindi , sono circa un milione le assistenti familiari operative nel paese.

“È un settore maturo – dice Francesca Pozzoli, ricercatrice che ha lavorato al report – per due motivi principali: l’età e la dinamicità”. Anche la demografia delle assistenti familiari nel corso degli ultimi venti anni è cambiata molto. Se a inizio anni 2000 solamente  un quinto di loro aveva più di cinquant’anni, adesso è il 54%, e almeno una su tre ha più di 60 anni.
Inoltre, la mancanza di politiche migratorie e di integrazione lungimiranti ha portato a una staticità del settore con effetti importanti. Manca un sostanziale turnover delle lavoratrici, che se a inizio anni 2000 risiedevano in Italia da pochi anni e vedevano questo lavoro come una sorta di “gavetta”, adesso risiedono nel paese da molto più a lungo, e considerano il lavoro di cura come una carriera definitiva. Questo che appare come un cambiamento minimo, ha delle importanti conseguenze sulla realtà dei fatti.

C’è una maggiore autonomia delle lavoratrici più giovani, che sempre in maggior numero svolgono la professione part time o ad ore, mentre la convivenza con la persona assistita viene svolta principalmente dalle assistenti più anziane. Si crea così la condizione in cui l’anziano è a sua volta assistito da una lavoratrice over 60. Ma la stabilità e l’autonomia del lavoro portano un grande numero di assistenti familiari a rendersi disponibili a svolgere corsi professionalizzanti, che oltre ad essere utili per migliorare il servizio fornito, sono anche fondamentali per accedere ai registri professionali e quindi ad uscire dall’irregolarità.

Le difficoltà della politica

La politica che non è in grado di cogliere questi cambiamenti e che continua a ignorare l’importanza del settore dei servizi alle persone anziane svolte dalle assistenti familiari contribuisce al “circolo vizioso del lavoro di cura degli anni ‘20”, come lo definisce Sergio Pasquinelli, il secondo ricercatore che ha contribuito alla stesura del report. Le badanti invecchiano, sono lasciate nell’irregolarità e sono meno disposte alla convivenza, le caregiver familiari sono sempre più sottopressione (risultano in larghissima parte donne), alimentando così gli squilibri del mercato del lavoro italiano, la politica rimane in una condizione di stallo e non adotta policies idonee ad una virtuosa evoluzione del fenomeno. “E’ un circolo che va scalzato e portato al centro del dibattito pubblico” sottolinea Pasquinelli.

Se la sanatoria ha sicuramente permesso una regolamentazione parziale del settore, ancora troppe sono quelle costrette all’irregolarità, e la pandemia con la crisi economica e la paura dei contagi ha portato al termine di molti contratti di lavoro. La piaga del lavoro nero colpisce in questo caso soggetti già estremamente fragili: donne (9 su 10 assistenti sono donne), straniere (8 su 10 sono straniere) la cui età cresce costantemente. Tutto questo avviene in un momento in cui i trend demografici mostrano chiaramente come siano e continueranno ad essere necessarie.

Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale delle Acli, sottolinea come ci si trovi di fronte a “un capitale umano preziosissimo, che si affaccia al nostro paese con una visione strategica e intelligente, a cui manca però una risposta adeguata. Sarebbe necessario inserire le badanti nel sistema dei servizi alla persona – spiega – rendendo il lavoro di cura un pezzo fondamentale del servizio pubblico. Spesso, invece, è ritenuto uno scambio privato, e le politiche migratorie e di welfare discriminano i nostri immigrati che ne costituiscono la colonna portante.

Siamo il primo paese in Europa per numero di anziani, con enormi difficoltà nel sistema sanitario pubblico specialmente se rivolto a questi. Sebbene il report sottolinei dinamiche positive nel cambiamento della propensione al lavoro delle assistenti familiari, la cecità della politica rischia di condurci verso una crisi sociale dalle conseguenze estremamente tragiche.

Filippo Ferraiuolo

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