
Elena Zanella, amministratore della Fundraising Academy & Consulting
Oltre il 90 per cento delle organizzazioni viene indicata da meno di 10 contribuenti: per avere un flusso continuo e consistente di risorse servono competenze e investimenti che rendano visibili le attività svolte e consolidino la reputazione degli enti. IL ruolo dei fundraiser
Per fare del bene servono risorse, ma per ottenere risorse non basta essere convinti di fare del bene. Servono reputazione e affidabilità, in prima istanza, ma anche competenze e strategia. Si può considerare racchiuso in questo principio il segreto che spiega come accedere alle risorse che il “5 per 1000 ” mette a disposizione delle organizzazioni non profit e delle iniziative sociali dei Comuni. Una fonte di circa 500 milioni di euro all’anno alla quale attingono oltre 67 mila enti, che ricevono contributi sulla base delle indicazioni espresse dai contribuenti al momento della dichiarazione dei redditi: più l’ente riesce ad essere scelto da chi sottoscrive la dichiarazione dei redditi – e più è elevato il reddito di ciascun contribuente, ma questo è un altro discorso – più è alto l’importo che arriva all’organizzazione. Con questo meccanismo, su 500 milioni distribuiti lo scorso anno oltre 132 milioni hanno finanziato le sole prime dieci organizzazioni per contributi erogati. E’ il risultato della loro capacità di essere apprezzati e indicati dagli oltre 16 milioni e 500 mila contribuenti che firmano la destinazione del “5 per 1000”, e della capacità di farsi conoscere e riconoscere soprattutto attraverso campagne di comunicazione.
Ma sarebbe sbagliato sintetizzare il tutto con uno slogan del tipo “chi meglio comunica, più riceve”. Essere visibili è senza dubbio fondamentale, ma non sufficiente per incontrare il riconoscimento dei cittadini più attenti: lo dimostra la stessa classifica dei primi dieci enti che ricevono maggiori contributi. Dietro a nomi già conosciuti in tutta Italia -come “l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro”- o in tutto il mondo -come “Emergency”- vediamo per esempio la “Fondazione piemontese per la ricerca sul cancro”, realtà fortemente legata ad un territorio definito e circoscritto, o ancora “l’Ospedale pediatrico Anna Meyer” di Firenze. Sono esempi che dimostrano che la comunicazione è fondamentale se sostenuta però da altro. E’questione di reputazione, affidabilità, organizzazione e strategia: forze che permettono di raggiungere l’obiettivo della sostenibilità economica se gestite attraverso competenze specifiche, quelle del ‘fundraiser’.
“Alla base di tutto c’è la consapevolezza che l’organizzazione non profit ha di agire in termini di impresa – spiega Elena Zanella, amministratore della Fundraising Academy & Consulting – Tanto più è brava nella sua organizzazione del lavoro interna, nell’organizzazione degli investimenti, nell’attuazione del progetto e nella sua capacità di rendicontare, tanto più saprà raccogliere. Non nascondiamocelo, però: molte realtà del terzo settore, soprattutto quelle medio piccole, fanno fatica a maturare la consapevolezza di doversi organizzare come un’impresa, malgrado la stessa Riforma del Terzo Settore le ponga in questa prospettiva. Non riescono del tutto a focalizzare che le aziende profit differiscono dall’organizzazione non profit non nell’organizzarsi e strutturarsi, ma nella finalità: massimizzare il profitto per le prime, raggiungimento di obiettivi sociali per le non profit”.
Il mondo del terzo settore è una realtà molto articolata e soprattutto parcellizzata: accanto a pochi grandi enti e alle organizzazioni di discrete dimensioni, come molte cooperative sociali, c’è una moltitudine di piccole e preziose entità che pur avendo cultura e capacità organizzative, oltre che alta reputazione e alto valore sociale, non accedono ai fondi del 5 per mille perché, appunto troppo piccole, e poco propense a investire risorse nella raccolta fondi preferendo destinarle alle attività sociali. “Il fundraising, che è cosa diversa dalla raccolta fondi che è ’collecting’, richiede competenza e tempo – prosegue Zanella – risorse che il terzo settore ha, e può avere. I professionisti possono affiancare le organizzazioni, o formare risorse interne alle organizzazioni. Ma è necessario che le stesse organizzazioni si muovano in una visione strategica di lungo periodo sia per i risultati delle iniziative di fundraising, pensiamo alle campagne sui lasciti testamentari, sia nella prospettiva della sostenibilità nel tempo dell’organizzazione stessa. Pensiamo per esempio a quelle realtà legate a un fondatore carismatico in grado di attirare da solo attenzione e risorse: se vuole guardare al futuro, diventare ‘istituzione’, deve investire in competenze”.
Il 5 per 1000 è oggi uno strumento essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo di moltissime organizzazioni del terzo settore, ma in realtà ancora poco valorizzato: solo poco più del 15% degli enti del terzo settore riescono ad accedervi. Ad eccezione di una ventina di realtà, chi vi accede riceve un contributo particolarmente esiguo e circa il 90 per cento delle organizzazioni raccoglie solo una decina di firme. I margini per valorizzarlo e renderlo davvero uno strumento di crescita per attività di alto valore sociale sono quindi enormi.